Appunti di Scena

L’Opera Lirica

 

Con la prima della Tosca della scorsa settimana, il Teatro alla Scala è tornato a essere sulla bocca di tutti, fosse anche solo per commentare l’errore (perdonabilissimo) della soprano Anna Netrebko o per confrontare i look scelti dai super VIP ospiti della serata. Al di là di questi discorsi frivoli, la Scala è senza dubbi uno dei simboli di Milano, tappa obbligata dei tanti turisti che visitano la città, che vengono per ammirare – anche solo da fuori – il luogo che ha visto nascere alcune delle più famose opere liriche, che ancora oggi continuano a essere rappresentate nei teatri di tutto il mondo. 

Scopriamo insieme alcune curiosità, storiche o gossippare, legate a questo splendido teatro e ai personaggi che lo hanno abitato.

Innanzitutto, perché si chiama “alla Scala”? Non c’entrano gradini e pioli, per quanto sia la prima immagine che a tutti appare nella mente. No! Si chiama così perché sorge sull’antica chiesa di Santa Maria alla Scala, che a sua volta prese il nome dalla sua fondatrice, Regina della Scala, della dinastia degli Scaligeri di Verona. 

Parliamo ora della Tosca, che abbiamo già citato (che sarà in scena fino all’8 gennaio, se qualcuno volesse farci un salto!). Tosca, capolavoro di Puccini, ha fama di portar immensa sfortuna a chi ricopre i ruoli dei suoi personaggi. Un esempio? Pare che la soprano … fosse talmente odiosa e odiata dall’intera compagnia, che i macchinisti sostituirono il materasso, su cui l’attrice doveva cadere nel grande e tragico finale, con un tappeto elastico. Il risultato? La soprano rimbalzò e il pubblico la vide ricomparire, da dietro le scene, più di una volta.. e dire che il personaggio doveva essere morto (mi spiace spoilerare, ma Tosca si suicida gettandosi da una torre)!

Se abbiamo citato Puccini, non possiamo però dimenticarci di un altro grandissimo personaggio, Giuseppe Verdi. 

Verdi è uno dei più importanti compositori,  al pari di Rossini e Wagner, e per la sua simpatia e vicinanza al movimento che perseguiva l’unità d’Italia, divenne simbolo artistico dell’unione della penisola. Fu amatissimo dagli Italiani, dunque, ma soprattutto dai milanesi. Verdi trascorse gli ultimi periodi della sua vita a Milano, fortemente debilitato a causa di un ictus: i Milanesi ricoprirono di paglia tutta via Manzoni, dove abitava per l’appunto Verdi, con lo scopo di attutire il rumore degli zoccoli dei cavalli e delle carrozze e tutelare così il riposo del grande Maestro. 

Andiamo a concludere. Non possiamo nasconderci dietro a un dito: proprio quello che fa dell’opera lirica un esempio di arte sublime, la commistione di musica e canto, è purtroppo anche ciò che fa tenere lontano da questa tipologia di spettacoli, perché risultano troppo lunghi, complessi e pesanti da sopportare a un pubblico non amante del genere. Il “recitar cantando” non è immediatamente comprensibile, soprattutto se non si conosce il testo. Certamente non è normale che si dialoghi cantando, dilungandosi in gorgheggi ed evoluzioni canore, ma sappiate che si sono posti la stessa domanda secoli e secoli fa, quando la lirica muoveva i primi passi: sapete come hanno risolto? Le prime opere avevano come protagonista Orfeo, il cantore per eccellenza, che dopo la perdita dell’amata Euridice visse cantando i suoi dolori e i suoi tormenti.

A qualcuno forse la domanda resterà aperta: vogliamo dunque l’occasione per invitarvi domani, domenica 15 dicembre, ore 16, allo spettacolo TURANDOT- Opera Popz. Lo spettacolo racconta, in maniera semplice ma efficace, pop e irriverente, proprio una delle grandi opere liriche italiane, mischiando il racconto con le arie più famose e celebri. Chissà che non vi incuriosisca abbastanza da volervi mettere il vostro abito migliore per andare a vederne ancora in quello che è il nostro splendido e amatissimo Teatro alla Scala. 


5 buone ragioni per andare a teatro

 

È domenica pomeriggio, e piove.

Oppure è mercoledì sera, siamo a metà della settimana lavorativa, la giornata è stata pesante ma tollerabile.

Ci vuole una grande forza di volontà per uscire di casa e rinunciare a starsene tranquillamente accoccolati sul divano, sotto una bella coperta, usando uno dei sette servizi di streaming a cui si è abbonati.

O forse bisogna solo trovare un’ottima motivazione e una valida alternativa a questo ozioso programma.

Ve la proponiamo noi.

ECCO LE 5 BUONE RAGIONI PER ANDARE A TEATRO E SCHIODARVI DAL VOSTRO DIVANO:

 

  1. L’ATTESA

Attesa significa sia l’aspettare, sia l’aspettativa.

L’attesa dell’inizio dello spettacolo è il brusio in sala di chi commenta, di chi si incontra, di chi chiede permesso infilandosi a sedere al suo posto.

L’attesa è accecante, le luci in sala riscaldano l’atmosfera e distraggono dal palco che, a sipario chiuso cela un mondo sconosciuto, e a sipario aperto lascia intravedere dettagli di scena, che come silenziosi indizi ci solleticano la curiosità. E allora il brusio cresce, aumenta di volume, l’aspettativa si fa più concreta e si trasforma in domande e in fantasiose teorie.

 

  1. COGLI L’ATTIMO

A teatro non si può tornare indietro, non c’è nessun tasto di rewind né la possibilità di mettere in pausa perché ci è suonato il cellulare, o perché qualcuno ci ha mandato un Whatsapp.

A teatro ogni secondo è importante, ogni parola va colta, accolta e ricordata, perché un momento dopo essere stata proferita svanisce, non è più.

Ritorniamo allora indietro nel tempo, per assaporare la volatilità del presente, per decidere di lasciare le distrazioni nel foyer, e immergerci nel qui e ora.

 

  1. UN’ESPERIENZA UNICA

O la va, o la spacca. Al cinema si trova il perfetto risultato di ciak ripetuti che hanno cancellato ogni strafalcione, ogni dimenticanza o distrazione degli attori.

Sul palco di un teatro non c’è una seconda chance, gli spettatori hanno il privilegio di essere partecipi del massimo impegno dell’attore. Chi ci è davanti sta dando il meglio di sé per noi, perché possiamo godere di uno spettacolo che sia perfetto, nonostante le piccole imperfezioni dell’hic et nunc. Perché anche se attori, testo e regia sono sempre gli stessi, ogni rappresentazione è unica e irripetibile: gli attori diranno le battute in modo leggermente diverso, il pubblico risponderà in momenti differenti, e l’intera esperienza sarà quindi unica.

 

  1. IL SILENZIO E LE RISATE

L’attore fa una pausa, il pubblico attende la battuta seguente, e il tempo è come sospeso. Il silenzio riempie l’atmosfera, il silenzio parla agli spettatori e li guida alla riflessione, alla contemplazione. Solo chi è stato a teatro conosce questa sensazione, specialmente al giorno d’oggi, in cui il silenzio è diventato davvero d’oro, e sempre più difficile da reperire.

Nel silenzio i cuori degli spettatori si riempiono, il loro respiro è sospeso come quando si perde l’equilibrio tra un passo e l’altro.

E poi le risate: a teatro si può ridere ad alta voce, si può regalare agli attori qualche secondo di immediata felicità. E anche qui la scena si sospende, gli attori lasciano al loro pubblico il tempo di ridere, di godersi questa fragorosa felicità. Le risate fanno bene agli attori e al pubblico: noi a teatro abbiamo riso e pianto, abbiamo aspettato in silenzio una mossa dell’attore, abbiamo applaudito fino a farci diventare le mani rosse e calde. Il teatro permette a tutti di emozionarsi, e regala il tempo di esprimersi liberamente.

 

  1. LA VARIETA’

Un luogo che accoglie tutte le età, e che si prepara a riceverle con una variegata programmazione.

Dalla commedia ai gialli, dai concerti dedicati all’opera a quelli di musica pop, passando per le proposte dedicate alle famiglie e ai più piccini. Il teatro è un appuntamento di ritrovo e discussione e scambio, di crescita intellettuale e di distacco dalla quotidianità.

Per un pomeriggio o una sera ci si rifugia – in compagnia – in un mondo diverso, in un’altra epoca, in un altro paese. Ma la mente è sempre ingaggiata, le emozioni sono a cuore aperto, e l’atmosfera è completamente magica.

 


M****, M****, M****!!!

 

Si dice che Pavarotti si facesse portare in camerino quattro frac identici (anche se poi usava sempre lo stesso) e che Colin Farrell usi per tutta la durata delle riprese le stesse mutande “fortunate” del primo giorno di set. Sembreranno stramberie da VIP, ma resta vera una cosa: prima di andare in scena, ogni artista, cantante o attore che sia, ha i propri personalissimi riti scaramantici, da condividere o tenere assolutamente per sé. Dal portare in camerino pupazzetti o vestiti particolari, al mangiare determinati cibi, dal rosario in tasca al cornetto stretto prima di sedersi in quinta, ogni espediente vale per placare l’agitazione che tocca tutti, anche i più navigati, prima della performance.

Mettendo un attimo da parte le fissazioni personali, quali sono le scaramanzie più comuni, le cose da fare o da non fare, prima di andare in scena? Scopriamolo insieme!

Partiamo dalle basi: MAI VESTIRSI DI VIOLA! Per capire il motivo, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo: il viola è il colore della Quaresima e per i 40 giorni che precedono la Pasqua i teatri avevano l’obbligo di rimanere chiusi, per rispettare l’invito alla morigeratezza e alla penitenza che la Chiesa rivolgeva ai suoi fedeli. Un vero disastro per gli attori, i cui guadagni erano unicamente dipendenti dall’affluenza di pubblico agli spettacoli.

Attenzione, però: questo vale solo in Italia! In Francia, il colore da evitare è il verde, perché così era il vestito di Molière nell’infausta replica del 17 febbraio 1673, che lo vide morire in scena per un attacco di tubercolosi.

In Spagna, invece, è il giallo, perché questa è la tinta dell’interno del mantello dei toreri, l’ultima cosa che vedono (quale triste pensiero!) prima di morire, se hanno la sventurata sorte di avere la peggio contro il toro. Mentre in Inghilterra il colore da evitare è il blu: tingere i tessuti di questo colore era estremamente costoso, ma spesso le compagnie si indebitavano pur di avere abiti di scena di ottima fattura e, se la spesa non era poi bilanciata dagli introiti, erano costrette a chiuder bottega!

Procediamo: MAI FISCHIARE IN TEATRO! I macchinisti erano soliti comunicare a fischi, di altezza e durata diversa, un vero e proprio codice morse per scambiarsi rapidi segnali e comandi da una quinta all’altra. Il più comune era quello per far calare o issare le scene, che il più delle volte erano tenute sospese o ancorate a terra con contrappesi. Il fischio, nello specifico, era il segnale di via libera per sganciare il contrappeso, facendolo cadere a terra o, nella peggiore delle ipotesi (e da qui la scaramanzia), sulla testa dei più sprovveduti.

Piccola stramberia: SE CADE A TERRA IL COPIONE, SBATTERLO PER TERRA TRE VOLTE. Oppure, sedercisi sopra, se siete in Russia. La caduta del copione simboleggia la spaventosa “caduta” dello spettacolo, da sventare assolutamente con i tre sbatacchi per terra. Attenzione però: a scacciare il malocchio può essere solo e soltanto colui o colei che ha fatto cadere i sacri fogli!

VIETATO SBIRCIARE DAL SIPARIO. Questo niente ha a che fare con la scaramanzia, in realtà, ma col regolamento di palcoscenico: se gli attori venivano colti in flagrante dal direttore di palco venivano aspramente rimproverati e, nel peggiore dei casi, dovevano pagare una multa. Non si doveva svelare nulla della scenografia, dei costumi, del mondo fantastico che si spalancava una volta alzato il sipario prima del tempo, ma inutile dire che la curiosità è dura a morire, soprattutto se preme controllare che una qualche autorità (politica o teatrale) sia presente in platea. Per questo esisteva il discreto “buco del sipario”, un foro vero e proprio, grande quanto una moneta, che, nascosto tra le pieghe del sipario e camuffato nella trama dei ricami e dei dipinti che spesso lo adornavano, fungeva a soddisfare le curiosità e le voglie di attori e capocomici.

Per finire, il più famoso e universale di tutti: prima di andare in scena, dire a gran voce MERDA MERDA MERDA!

Il motivo? I più curiosi e amanti del teatro lo sapranno già: l’origine è da cercare indietro nel tempo, quando a teatro ci si recava in carrozza. Le carrozze, non serve dirlo, erano trainate da cavalli e i cavalli, nell’attesa che lo spettacolo finisse.. davano il meglio di sé!

Avere tanta merda davanti al teatro significava ci fossero tanti cavalli, e quindi tante carrozze. Tante carrozze significavano tanto pubblico, e tanto pubblico, per una compagnia che viveva degli introiti dello sbigliettamento, significava una sola cosa: tanti soldi.

Nonostante di carrozze e cavalli non se ne vedano più molte in giro, l’abitudine è rimasta: se incrociate amici o parenti pronti ad andare in scena, dunque, non azzardatevi ad augurar loro “buona fortuna” o, ancora peggio “Auguri”, ma senza timori ripetete le magiche parole, accompagnandole anche, se la natura del vostro rapporto lo consente, con una bella pacca sulle terga. Così fanno quegli scapestrati degli attori, garantisco io! Per i più pudici e morigerati, c’è poi il sempreverde “in bocca al lupo”: la risposta, però, può variare da un gentile “Grazie” a un apparentemente crudele “Crepi”. Il motivo? Questa è un’altra storia..

 


Appunti di Scena

 

Ci siamo, le luci in sala si spengono, la platea si ammutolisce, quasi trattiene il fiato. Si accendono le luci sul palco, il sipario si apre come in una danza fluttuante e svela la scena: lo spettacolo ha inizio. 

Ma cosa è successo prima di questo momento che rimane sospeso nell’aria? 

Qual è il percorso che ha portato un gruppo di persone a trasformarsi, a cambiare identità e a presentarsi al pubblico con un altro nome? 

E cosa è accaduto dietro le quinte nei mesi che hanno preceduto il grande debutto, chi sono le tante persone che rimangono fuori dalla scena, ma senza le quali nulla sarebbe possibile?

Nasce così Appunti di Scena, con il desiderio di aprire il sipario su tutto ciò che accade prima di uno spettacolo, sulle persone che da un’idea e un copione realizzano un nuovo mondo, sui personaggi che vanno in scena e quelli che la scena la costruiscono.

Ripercorreremo insieme le tappe della storia del teatro, rispondendo a tante curiosità e falsi miti, e raccontandovi le vicissitudini che hanno reso il teatro la favolosa realtà che conosciamo al giorno d’oggi. Il tutto condito dalla viva rassegna del Teatro Sant’Andrea, per invitarvi sul palco con noi e raccontarvi la nostra passione più grande, che da generazioni anima la Compagnia del Teatro.

 

Dal 1913 il Teatro Sant’Andrea è infatti uno dei simboli della comunità di Porta Romana a Milano: fu fondato da Don Luigi Pessina come “compagnia dell’oratorio”, che metteva in scena ogni settimana sketch domenicali, divenuti poi appuntamento fisso di ritrovo per tutto il quartiere.

Da allora la compagnia ha dato vita a molti testi in dialetto milanese, continuando la tradizione nata agli inizi dell’Ottocento in molti edifici religiosi abbandonati sparsi nel centro città.

Fino al 1867, anno in cui la capitale d’Italia fu spostata da Torino a Firenze. Le città di Torino e Milano, con una sana dose di ottimismo, già si prefiguravano un declino irrefrenabile e la reazione di Milano, con il suo tipico spirito molto umile, fu di inventarsi come consolazione il termine tuttora in auge di “Capitale morale”.

A questo clima di tensione si aggiunsero alcuni intellettuali intenzionati a bandire il dialetto milanese dal teatro e dalla vita. Contro di loro si schierarono i sostenitori del dialetto come fulcro dell’identità storica dei lombardi che, per rilanciare il dialetto meneghino, proposero la nascita di una nuova letteratura teatrale in milanese.

Con questo spirito nel 1869 nacque un teatro dialettale che utilizzava testi originali e non, ovvero rifacimenti di opere in lingua, italiane e straniere: è l’inizio del Teatro Milanese.

 

A rendere omaggio alla tradizione del Teatro Sant’Andrea torna dunque sul nostro palcoscenico dopo una lunga pausa la commedia milanese, che con lo spettacolo “Ah! ‘Sti Donn!” apre la stagione teatrale 2019/2020.

La commedia ci trasporta indietro nel tempo fino agli anni ’70, all’interno di casa Morelli, dove i coniugi Anna e Giulio attendono il ritorno dal viaggio di nozze del loro figlio Ugo e della novella sposa, Elena. Non appena i due varcano la soglia di casa, si percepisce però una strana tensione. Si sa, infatti, che la vita matrimoniale va costruita giorno dopo giorno, con pazienza e fiducia reciproca, alla ricerca di un equilibrio costante… se a far traballare la fresca unione dei giovani sposini è stato un piccolo ma fastidioso equivoco, una domanda ben più impegnativa assilla i coniugi più maturi: è bene che la donna si dedichi unicamente alla cura della propria famiglia oppure che si ritagli anche del tempo per un’occupazione lavorativa?

A questi già validi ingredienti, aggiungete una coppia di suoceri fieramente orgogliosi della figlia, una cameriera maliziosa, due zelanti datori di lavoro e una pragmatica donna in procinto di sposarsi e otterrete una brillante commedia dialettale, che non mancherà di suscitare anche qualche riflessione sulla vita famigliare.